Essere gentili non è solo un atto di cortesia. Se intesa come bontà d’animo e apertura verso l’altro, la gentilezza è qualcosa che va oltre i saluti cordiali e le strette di mano. Questi gesti, segno di buona educazione, sono doverosi in una società civile. La gentilezza è il passo successivo: fa entrare in una relazione più profonda le persone, abbatte il muro d’estraneità, favorisce il sostegno e l’aiuto reciproco.
La gentilezza è la base di ogni rapporto umano: la coppia, la genitorialità, le relazioni tra colleghi. Può essere definita come la “predisposizione positiva verso gli altri” ed è una qualità innata. I neonati ne sono una prova: privi di condizionamenti, alla nascita sorridono, allungano le braccia, cercano il contatto visivo. Crescendo questa capacità viene messa alla prova: lo stress, la fretta, la competitività, influenzano la capacità di relazionarsi in modo equilibrato e rispettoso gli uni con gli altri.
Nel saggio “La forza della gentilezza” si sottolinea come, proprio quando ci sarebbe più bisogno di questa dote, prevalgono invece l’aggressività e l’indifferenza. Questi atteggiamenti esplodono nei momenti di crisi, che alimentano diffidenza e sospetto. Più le persone si sentono abbandonate, meno si coalizzano tra loro. Anzi, vedono negli altri un pericolo per la propria sopravvivenza.
La vera gentilezza è disinteressata e fine a se stessa. La disponibilità ad aiutare qualcuno con uno scopo non è gentilezza, dato che c’è un tornaconto. Di sicuro, però, l’onestà, il rispetto e l’altruismo sono valori che arricchiscono e migliorano la qualità della vita. E’ più facile comunicare con le persone, lavorare in un team, andare d’accordo in famiglia se tutti si mostrano aperti all’ascolto e attenti ai bisogni degli altri.