In termini di psicologia le bugie si scoprono con il dialogo. È stato dimostrato infatti che non serve per forza affidarsi alla macchina della verità, per riuscire a capire se una persona sta mentendo oppure no. Sarebbe sufficiente indurre un individuo a parlare a lungo. È la conclusione degli studiosi dell’Università di Portsmouth, di Goteborg e della British Columbia.
Le bugie a volte sono rivelate dalla grafia, ma anche il linguaggio parlato non è da meno. D’altronde, come chiariscono gli esperti, basarsi soltanto sui segnali non verbali non rappresenta un sistema sicuro per riuscire a scoprire chi sta mentendo. Scoprire le bugie è difficile, perché molto spesso l’atteggiamento di chi sta mentendo non si allontana di molto da quello di colui che dice la verità. Non ci può essere la sicurezza dettata dall’interpretazione di segnali oggettivi, perché ciascuno di noi ha un modo soggettivo di comportarsi.
Una ricerca precedente aveva messo in luce che mentire fa bene alla salute. Ma è pur vero che in certi contesti è necessario svelare una bugia. Che fare allora? Bisognerebbe mandare in corto circuito il cervello, cogliendo i segnali verbali, anche perchè le bugie sono dure a morire.
A questo proposito i ricercatori spiegano: “Mentire è cognitivamente più stressante rispetto al dire la verità. Richiede un maggior sforzo mentale: il cervello deve “lavorare” di più per ricordare chi, nella nostra nuova versione dei fatti, ha detto cosa. Se il dialogo viene protratto “caricando” ulteriormente il cervello di stress, perché magari chiediamo alla persona che abbiamo di fronte di raccontarci gli eventi in un ordine leggermente diverso, è più probabile riuscire a cogliere piccole incertezze nel racconto indicative di una menzogna”.