Tempi duri per gli umanisti. Considerati di frequente, spesso a torto, portatori di saperi non più necessari ai moderni organismi delle aziende, non vengono quasi mai preferiti a un tecnico o a un ingegnere. Quasi sempre guardati con sospetto dai direttori del personale, fanno i conti anche con una retribuzione sempre più bassa. In termini assoluti. E in termini relativi. Quando puntano i loro occhi sull’ultimo numero in fondo a destra della busta paga, non trovano alcuna consolazione. Soprattutto se quella cifra la confrontano con quella di ingegneri o esperti di business.
I dati più recenti, che arrivano dagli Stati Uniti, sono impietosi. Nel percorso di una vita professionale, chi si è laureato in ingegneria, informatica o economia, guadagna circa il 50 per cento in più di chi è uscito da un percorso di studi umanistici. I numeri, riportati qualche giorno fa anche dal Washington Post, sono quelli dell’indagine “What’s it worth” realizzata dai ricercatori del Center on Education and the Workforce, della Georgetown University, un istituto indipendente che analizza il legame tra percorsi di studio, competenze e occupazione.
Il rapporto ha indagato come, lungo tutto l’arco di una carriera professionale, i diversi percorsi formativi universitari incidono sui livelli retributivi. E’ uno dei primi a recuperare informazioni su un così ampio spettro di anni. In precedenza, gli studi avevano prestato attenzione soprattutto agli stipendi guadagnati subito dopo il conseguimento della laurea. Secondo lo studio, la retribuzione media annua per chi si è laureato in ingegneria è pari a 75 mila dollari (circa 53 mila euro) mentre chi si è laureato in una facoltà umanistica rimane a 47 mila dollari (circa 33 mila euro). Ovvero il 58 per cento in più. Una differenza non da poco.
Spiegare i divari retributivi è sempre un azzardo. E meno che mai possono diventare un parametro per decidere un percorso di studi a scapito di un altro. Le cose sono, quasi sempre, più complesse e una scelta rimanda a un ampio spettro di elementi. Personali e sociali. Carlo Emilio Gadda si era laureato in ingegneria elettronica nel 1920. Era andato anche in Argentina a lavorare nella Compañia general de phosphoros. Poi però, tornato in Italia, finì per iscriversi a filosofia e da ingegnere, ben retribuito, preferì tornare ad essere umanista e intraprendere l’impervia strada che lo portò a diventare uno dei più originali scrittori dei nostri tempi.
I dati però hanno un’importanza soprattutto alla luce del dibattito che la crisi ha sollevato sul valore, o meno, che una laurea può dare a un percorso professionale. Soprattutto nel medio lungo termine. Esiste ancora un vantaggio? Al di là delle ampie differenze tra le tipologie di corsi, gli autori dell’indagine sottolineano come una laurea sia ancora un buon investimento. Chi ha una laurea può aspettarsi una retribuzione, dicono gli autori della ricerca, che nell’arco di tempo di una vita è maggiore dell’84 per cento di quella di chi invece ha nel suo curriculum solo un diploma di scuola superiore.
Ma in Italia? I dati, seppure non rilevati sull’intero arco della vita professionale, non si discostano molto da quelli rilevati negli Usa. Secondo quanto elaborato da Almalaurea a marzo 2011, un laureato in ingegneria che ha terminato il 3+2, dopo tre anni che si è laureato, guadagna in media 1.532 euro netti al mese. Il 55 per cento in più di chi esce da un corso umanistico e che si deve accontentare di 985 euro al mese. Chi ha conseguito una laurea in ambito economico-statistico, con una media pari a 1.461 euro netti al mese, supera del 48 per cento la retribuzione media degli umanisti.
Più attenuate sono le differenze per i laureati brevi. Dopo cinque anni di lavoro, un laureato di primo livello in ingegneria prende 1.529 euro al mese contro i 1.142 euro di chi è uscito da un corso letterario (circa il 34 per cento in più). Anche per chi è uscito dall’università prima delle riforma ci sono evidenti divari. Un laureato in ingegneria, dopo cinque anni di lavoro, prende circa 1.642 euro netti al mese contro i 1.087 euro di un laureato di un corso del gruppo letterario. Si tratta di un gap superiore al 50 per cento.